Naty è una briosa iperattiva ed avventuriera signora con la smania del “viaggio” con la V maiuscola. Dopo aver assolto egregiamente al suo ruolo di mamma, che l’ha tenuta lontano dai viaggi per almeno 25 anni, si è potuta dedicare alla sua vera passione: la scoperta di culture e luoghi discosti, insoliti, unici, singolari. Grazie all’estrema facilità di relazionarsi con sconosciuti e viandanti di ogni estrazione sociale, una dote che direi innata in lei, riesce incredibilmente a districarsi in diverse situazioni pur non conoscendo gli idiomi locali. A suo modo, Naty è un personaggio; curiosa, a volte selvaggia, mai alla ricerca del lusso – che però non disdegna se le capita -, è sempre animata da una sorta di frenesia che le consente di cogliere attimi di vita e situazioni particolari che ama documentare con dovizia di cronaca e grande sensibilità. Quando non viaggia, state pur certi che sta lavorando per prepararne uno nuovo…
So che ha visitato la Malesia ed ho voluto raccogliere una testimonianza dal suo angolo di osservazione, che vedrete, molto particolare.
1. Naty, so che ti sei di recente recata in Malesia. Perché proprio questo Paese? Cosa ti ha spinto ad esplorarlo?
Ebbene si, ho avuto la fortuna di visitare la Malesia, più precisamente il Borneo Malese, perché mi affascina la sua natura selvaggia, la sua straordinaria biodiversità, e lì siamo proprio nel posto giusto. E poi sono attratta dalla popolazione locale, mi piace interessarmi a loro e informarmi sui loro usi e costumi, quelli della gente comune.
Il Borneo è un’isola di 743.107 km2, nel sud-est asiatico, divisa tra la Malesia – a sua volta spartita tra le regioni del Sabah e Sarawak – e il Brunei nella parte settentrionale, l’Indonesia nella parte meridionale (regione del Kalimantàn). È la terza isola del mondo per superficie. È bagnato a nord ed a ovest dal Mar Cinese meridionale, a nord-est dal Mare di Sulu, ad est dal Mar di Celebes e dallo stretto di Makasar, a sud dal mar di Giava e dallo stretto di Karimata. L’isola del Borneo è circondata, da ovest a est, da Sumatra, Giava, Sulawesi e le Filippine. Il punto più alto dell’isola è il Monte Kinabalu nel Sabah, in Malesia, con un’altezza di 4095 m sul livello del mare. Il maggior sistema fluviale è il fiume Kapuas, che con i suoi 1143 km è il più lungo fiume dell’Indonesia.
2. Come ti sei organizzata, quali le principali tappe? Luoghi e regioni visitate? Come scegli le priorità? Hai fatto tutto da sola o ti sei affidata ad agenzie specializzate?
A dire il vero, dopo aver scelto il periodo migliore – al termine della stagione delle piogge, che qui sono torrenziali e quando il clima è gradevole – con mia figlia, puntiamo il dito sul mappamondo e decidiamo l’itinerario. La scelta quest’anno è caduta sul Borneo, visto che l’Indonesia l’avevamo già esplorata lo scorso anno… tranquilli, ve la racconterò in un’altra edizione.
Anche se il Borneo e l’Indonesia sono due paesi vicini, ci incuriosiva percepirne da vicino, con i nostri occhi, le differenze, non sempre marginali. Sul posto ci affidiamo sempre a guide locali, molto competenti ed esperte. Ogni giornata è puntualmente organizzata e siamo noi stesse a decidere le mete che vengono stabilite in base a letture varie, informazioni, documenti e testimonianze di viaggio da cui attingiamo a piene mani, non necessariamente “turistici” nel senso tradizionale.
Da Giacarta, capitale e metropoli indonesiana, siamo partite volando su Kuching, con scalo tecnico a Pontianak, ultima città del Borneo Indonesiano. Kuching è la capitale del Sarawak, famosa ai più per le avventure di Sandokan e del Rajà Bianco. La fortezza del Rajà Brooke esiste davvero, il potente ha dominato queste terre per decenni commerciando spezie, stoffe, argenti e preziosi.
Abbiamo avuto la fortuna di capitare qui nel periodo di massimo splendore: era la festa nazionale e il fiume era tutto un brulicare di barche coloratissime. Si stava svolgendo la regata internazionale del dragone e la città era tutta in festa, con mercatini e tanto cibo locale cucinato al momento. Come potevamo mancare l’occasione di assaggiare i loro piatti e lasciarsi ammaliare dai profumi molto intensi e dagli sgargianti colori.
La popolazione locale è composta da tante etnie: malesi, indiani, e per lo più cinesi ed i loro luoghi di culto sono ben rappresentati con la cattedrale cattolica, la moschea e i templi. Ed è straordinario come tutto questo riesca a coesistere.
Ci siamo poi inoltrate verso il centro del Sarawak e lungo la strada ci fermiamo a visitare un centro di conservazione degli oranghi. Questi sono in grandissima difficoltà, visto la devastazione della distruzione delle foreste provocata dalle immense piantagioni di palme da olio. Impressionante vedere le distese e la monotonia del paesaggio.
Questi animali, come molti altri, non sanno più dove andare e vagano senza sosta alla ricerca di cibo. Ci sono dei volontari che li cercano e li aiutano trasportandoli in luoghi a loro più favorevoli.
Siamo diretti al lago Batang Ai, dove ci sono ancora delle longhouses, case appoggiate su palafitte a forma di parallelepipedo, abitate mediamente una trentina di famiglie. Gli abitanti sono dediti principalmente alla pesca, all’agricoltura ed alla caccia. Alcuni usano ancora la cerbottana intinta nel veleno ricavato da una pianta che non uccide l’animale, ma lo addormenta. Quello che producono o cacciano viene poi scambiano con quello che a loro manca. Il baratto è la regola qui.
Anche se sono riusciti a mantenere le loro tradizioni – come la gerarchia della conduzione della casa, la gestione degli alloggi, l’educazione dei bambini, la sicurezza, la manutenzione e la salute – non bisogna dimenticare che fino a una trentina d’anni fa erano dei cacciatori di teste. Infatti se uno straniero o un nemico si avvicinava troppo ai loro territori, non ci pensavano due volte ad eliminarlo.
Per ogni testa caduta, veniva disegnato sul dito del vincitore un tatuaggio, come indelebile trofeo e testimonianza di forza. Gli Iban sono un popolo originario del Sarawak, la regione a ovest del Borneo, in Malesia. Sono il primo popolo che abitò il Borneo.
Il corpo di un Iban, è tutto tatuato. E’ la memoria storica e racconta tutto quello che ha fatto nella sua vita, i viaggi, gli incontri e addirittura si tatuano dei simboli sotto il mento per proteggersi dall’assunzione involontaria del veleno.
La nostra guida era un Iban e ci ha davvero emozionato rendendoci partecipi di tante avventure e raccontandoci numerosi e curiosi aneddoti.
Con un trasferimento aereo, raggiungiamo Mulu. Un sito incredibile in mezzo alla foresta vergine, protetto dall’Unesco. Ci sono grotte e caverne, scoperte da poco, fra le più grandi al mondo, alcune popolate da milioni di pipistrelli che quando escono al tramonto per mangiare, oscurano il cielo.
Qui si puo’ camminare sia sotto gli alberi sia sopra: è tutto un intreccio di passerelle sospese e sentieri ben tenuti. Abbiamo visto tanti animali: serpenti (uno verde sottile e velenosissimo), farfalle, insetti stecco, rane strane e variopinti uccelli, ecc.
In questo posto non esistono strade: la via principale è il fiume o un piccolo aereoporto. Ci hanno spiegato come hanno fatto a trasportare tutto il materiale necessario per la costruzione del centro. Dal porto principale, al trasbordo su barche sempre più piccole.
Qui vivono i Dayak, popolazioni a rischio estinzione, a lungo sostenuti da Bruno Manser, uno svizzero capitato qui per caso e che si è preso a cuore i loro problemi e li ha aiutati per una decina di anni. La loro situazione è un po’ simile agli oranghi: le multinazionali vengono, offrono un niente e si portano via alberi secolari dal valore immenso e lasciano le popolazioni senza territorio e con il problema delle piantagioni intensive di palme da olio. Purtroppo il signor Manser un giorno è sparito e di lui si è persa ogni traccia.
Da qui ci siamo recate nel Brunei. Ad attenderci a Miri c’era una guida e con lui abbiamo attraversato il piccolo sultanato che galleggia letteralmente sul petrolio. Hanno scoperto nuovi giacimenti. Questa è la massima fonte di ricchezza. La loro gente lavora quasi tutta per il governo: hanno un buon stipendio, le scuole sono gratuite, anche la sanità è gratuita, ma non possono espatriare, bere alcool o fumare.
Le donne devono indossare il velo e esiste il Ministero della Sharìa. Insomma, non hanno la libertà o se ce l’hanno è ancora molto limitata!
Abbiamo anche alloggiato in un albergo che era una residenza principesca dove non potevano mancare rubinetti d’oro zecchino e tutte le altre comodità. Uno sfarzo mai visto e in forte contrasto con il vivere quotidiano. La capitale è Bandar Seri Begawan, con il piu’ grande agglomerato di gente che vive sulle palafitte (più di 40’000 persone) e musei che glorificano il Sultano in ogni maniera, la moschea con l’aria condizionata, tutta d’oro e bianca e blu. L’abbiamo puntualmente visitata ma è ora di partire. Non fa per noi questo posto e così la pensano anche altri stranieri. Infatti abbiamo visto pochi turisti e i rari occidentali erano uomini d’affari.
Ci spostiamo verso il centro della grande isola del Borneo, per arrampicarci sul Monte Kinabalu per ammirare le “Nephente” selvatiche (le piante carnivore) e la “Reflesia”, il fiore più grande al mondo. Il Monte Kinabalu è la montagna piu’ alta del sud est asiatico e non è un vulcano. Raggiunge i 4000 metri d’altezza e molti scalatori arrivano in vetta pagando forti somme. Proseguiamo verso est e lungo il percorso incontriamo numerosi villaggi, mercati ben assortiti e puliti, artigiani con le “mani d’oro” che aggiustano ogni cosa e fattorie con mucche al pascolo.
Ora siamo nel Sabah, regione ricca di foreste, mare pescoso, grandi fiumi e tantissime piantagioni di palme da olio. Incrociamo numerosissimi camion stracarichi di semi avviati verso il frantoio.
Una mattina ci siamo svegliate prestissimo per navigare lungo un fiume. Abbiamo ammirato una straordinaria alba e tanti animali che animavano le rive del fiume: elefanti pigmei, scimmie nasiche (quelle con la proboscide).
Coccodrilli, cinghiali e l’hornbill, che è l’uccello simbolo nazionale. E ancora aironi, ecc. Per rilassarci ci fermiamo due giorni a Kota Kinabalu. E’ una regione turistica assai rinomata, dove abbiamo camminato su spiagge bianchissime e semi vuote. Mi è sembrato che, a parte i turisti occidentali, nessuno si ferma sulla spiaggia e tantomeno fanno il bagno nel mare. Forse lo temono, peccato perché era stupendo.
3. Raccontaci una tua esperienza particolare, un momento unico, vissuto durante il tuo viaggio in Malesia che ti senti di condividere. Cosa ti ha lasciato?
Mi ha colpito tantissimo la questione della palma da olio. Dai finestrini degli aerei si vede benissimo la massiccia deforestazione in atto. Numerosi incendi che bruciano tutto e subito grandi scavatrici che entrano in gioco e tratteggiano strade e poi piantano le palmette. Impiegano circa sei anni a fruttificare, ma poi per circa venti anni danno una massima produzione. I grappoli che contengono i semi sono rigorosamente raccolti a mano ogni 15 giorni da mano d’opera estera. Qui gli stranieri e gli immigrati sono gli indonesiani.
Il lavoro è faticoso: con lunghe pertiche uncinate tagliano il caspio che viene ammucchiato lungo la strada principale per poi essere caricato su camion sgangherati. L’olio da palma ormai è dappertutto: cosmetici, carburante bio (e lo chiamano bio!!!), alimenti, dolciumi. Il piu’ grande consumatore è la Cina. Ci sono perfino degli oleodotti che trasportano l’olio ai porti per l’imbarco. E qui siamo solo in una piccola provincia del Borneo! Chissà l’Indonesia quanto ne produce?
Ho sentito dire che i cinesi vogliono costruire perfino una ferrovia. Pensate quanto è ambito questo commercio….. Tutto cio’ mi ha lasciato molta amarezza. Ma cosa possiamo fare noi occidentali, se non ridurne i consumi?
4. Cosa ti ha colpito maggiormente di questo straordinario Paese? La gente, il cibo, i monumenti, la religione. Come vivono la famiglia? Si sente il peso delle “caste”?
Il mio cuore è triste vedendo lo scempio che si sta compiendo su questo territorio incontaminato. La gente è umile, gentile, accogliente, ti saluta calorosamente, quando vede che curiosi tra le bancarelle e vedi delle cose che non conosci, ti mostrano, ti fanno assaggiare, ti invitano a provare. Non sono insistenti, non spingono per venderti cose che non desideri. Non so cosa succederà a breve, ma la situazione è molto preoccupante. La ricchezza non è adeguatamente distribuita ed anche qui c’è un forte desiderio di indipendenza. Kuala Lumpur è lontana sebbene sia la capitale.
Le province del Borneo sono assai ricche. Il loro sottosuolo produce benessere anche per la Malesia Peninsulare dove vivono ben 8 famiglie reali che si spartiscono la maggior parte degli introiti. Le ricadute monetarie nel Sarawak e nel Sabah sono assai limitate e i separatisti si stanno organizzando.
5. Cosa raccomanderesti a chi volesse avvicinarsi a queste culture? Quanto tempo consigli si debba spendere in loco per comprendere un minimo della loro realtà?
Di andare e di cercare di avvicinarsi a loro, di capirli. Poco importa se la permanenza si limita ad un breve o più lungo periodo, ma di farlo presto per cogliere appieno la sua straordinaria biodiversità.
6. Ci torneresti? Cosa andresti ad approfondire? Cosa o chi porteresti con te? Cosa lasceresti a casa?
Non credo che avrò l’opportunità di ritornarci, ma sono felicissima di aver visitato questo bellissimo paese pieno di contrasti e nel contempo ricco di grande umanità e di essermi immersa nel quotidiano della gente comune. Come per gli altri viaggi, porterei con me una buona macchina fotografica, tanta curiosità e tanta voglia di lasciarsi stupire dalle cose comuni.
7. Cosa puoi consigliare ad altri viandanti occidentali prima di intraprendere questo viaggio alla scoperta di questo angolo della Malesia?
Di andarci ma senza paraocchi. Partire senza pregiudizi e soprattutto lasciare a casa i comfort. Essere pronti ad entrare nella loro cultura senza pretendere di cambiarla, assaggiare i loro cibi, partecipare alle loro usanze ed alle loro danze. Rispettare le loro tradizioni.
8. Grazie per la bella testimonianza, per la tua sensibilità e per i consigli di viaggio. Ti aspettiamo per un’altra vissuta ed emozionante avventura. Buon viaggio Naty!
Intervista di Giuseppe Stinca a Naty June per
Staying Tuned !